Cosa resta di un anno in giro per l’Italia

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Alla prima telefonata ti parlano con deferenza – non si può mai sapere questi scrittori che bestie sono.

Alla seconda telefonata è come se avessero fatto con te tutte le scuole dell’obbligo. In effetti loro ti conoscono bene. Hanno letto un tuo romanzo, magari anche due. Se sono acuti, e in genere lo sono, sanno di te molto più di tanti tuoi parenti.

Ti vengono a prendere alla stazione con delle auto sempre incasinate di giornali, dépliant, scatole di libri, il triciclo, il seggiolino, il tappetino dello yoga, i rollerblade, le sei bottiglie d’acqua comprate al volo per la presentazione. Si scusano perché dentro non la puliscono da mesi. Sai, i figli, il cane, il trekking, sto traslocando.

Al primo sguardo confrontano la tua immagine con quella che si sono fatti di te leggendo il tuo libro. E in quel momento per non deluderli vorresti essere qualcosa che neanche sai. Più vecchio, più alto, più grasso, più bello, più scorbutico, più spettinato, più toscano.

Ti garantiscono che l’albergo è carino, comodo e in centro. Oppure che l’agriturismo è appena fuori, ma in una zona tranquilla e ha i formaggi biologici.

Ti mostrano con orgoglio i trafiletti sulle pagine dei quotidiani locali.

Ti assicurano che verrà anche l’assessore.

Si preoccupano del tempo e del fatto che in concomitanza ci siano il vernissage di una mostra, il concerto della corale, l’inaugurazione del centro commerciale, i play-off della serie A femminile di pallavolo.

Hanno farcito il tuo libro di tanti segnalini colorati. Oppure l’hanno sottolineato come un testo di scuola. O magari si sono scritti le domande a lapis sul frontespizio. Hanno scaricato da internet vecchie interviste di cui non serbi alcun ricordo – e di cui ormai è troppo tardi per pentirti.

Guardano le sedie ancora vuote tentando di dissimulare il nervosismo. Pensando che tu non li veda, inviano a tutti i loro amici sms che configurerebbero senza forzature il reato di stalking.

Loro pensano: ha fatto quattrocento chilometri e magari vengono sei persone.

Tu pensi: guarda quanto si sono sbattuti e magari vengono sei persone.

Alla fine vengono trenta persone. Delle volte cinquanta. Delle volte cento.

E alla fine le persone fanno le domande, comprano il libro, se lo fanno firmare.

E loro pensano: abbiamo fatto un figurone.

E tu pensi: non li ho fatti sfigurare e i loro amici non li denunceranno per stalking.

Al ristorante ti chiedono se sei vegetariano, intollerante, astemio, crudista, celiaco, musulmano – non si può mai sapere questi scrittori che bestie sono.

La mattina dopo ti vengono a prendere per portarti alla stazione. Ti dicono: alla prossima. Tu gli dici: alla prossima, poi li vedi affrettarsi verso l’auto per accompagnare i figli a scuola prima di andare al lavoro.

Perché non è che campano organizzando presentazioni. Anzi. Considerando quanto si sono sbattuti, ci avranno pure rimesso.

Ma niente, è più forte di loro.

Sono librai, lettori forti – ma che dico, d’acciaio –, bibliotecari, insegnanti, agitatori culturali, maniaci dei cineforum, giornalisti, blogger, pazzi scatenati, gentilissimi irriducibili del dibattito, animatori di circoli di lettura, curiosi patologici, bastian contrari con due lauree, metalmeccanici in pensione, ex dirigenti d’azienda, madri di famiglia ad altissima efficienza, compunti extraparlamentari, giovani precari o gente che ha lasciato lavori sicuri perché si sentiva morire.

Sono quelli che tirano avanti la baracca culturale di questo Paese. Fuori dai grandi festival e dagli incarichi ben remunerati. Impilando sedie, infornando torte per il rinfresco fai-da-te, scassando la minchia agli assessori per un patrocinio e litigando in famiglia. Nell’Italia più bella e sperduta, dove trovi sempre qualcosa che ti fa sentire al centro del mondo: una pieve romanica, un villaggio manifatturiero frutto di qualche utopia padronale, la villa di un oscuro alchimista, una piazza dalla prospettiva metafisica, un asilo dagli standard nordeuropei, un bosco con i daini.

Sono loro che, in questi dodici mesi, hanno fatto di un romanzo come “Cosa resta di noi” non tanto e non solo un successo, ma una delle cose più belle che mi sia capitata nella vita.

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