True Montalbano (o della lentezza d’autore)

True Detective è arrivata in Italia con tutta la scia di meritato entusiasmo che una serie di questo livello merita. Io la trovo bellissima, e trovo Harrelson e McConaughey due attori monumentali, ma non è questa ovvietà su cui vale spendere qualche riga.

Le questioni sono altre.

True Detective è lenta. È densa e appiccicaticcia come l’aria pesante delle paludi. Livida e pastosa come quel cielo pesantissimo e immenso. True Detective se ne fotte del tradizionale “una scena=due pagine al massimo” con cui le serie americane hanno accelerato inesorabilmente da NYPD in poi, per dire.

True Detective è un prodotto d’autore. Nel senso che risponde solo a se stesso, è coerente solo a se stesso e non a uno standard (se non al format della puntata da 50 minuti). È un prodotto letterario, ma non solo perché a crearlo è stato uno scrittore e non un pool di esperti di marketing. È letterario perché attinge a quel profondo sud raccontato da alcuni romanzi di Lansdale (anche se lui è del Texas e fa il gigione, ricordate la cupezza di Mucho Mojo?) o dal grande James Lee Burke. E perché nel raccontare la sperduta provincia americana, non può non omaggiare quella lezione fondamentale che rimane ancora A sangue freddo di Truman Capote.

Naturalmente, di fronte a tutto questo si levano dolorosi i confronti con la situazione del nostro Paese. In Italia scrivere – anche solo accennare durante una riunione – una battuta come “la consapevolezza è stato l’errore più tragico che l’evoluzione abbia commesso” (cito a memoria) significa essere radiati a divinis dal numero di sceneggiatori graditi ai piani alti delle produzioni che contano.

È vero, ma non stiamo a perderci in scaramucce a effetto.

Non è forse Il commissario Montalbano la serie italiana più apprezzata e longeva dai tempi de La Piovra? E non è forse anche questa lenta e sprofondata nel sud? E non è forse anche questa nata dall’opera di uno scrittore? Non si colgono in quella lentezza arcaica e fatalista gli echi di Tomasi di Lampedusa e di Sciascia? Non è forse nata dall’opera di un vero e proprio intellettuale, altra etichetta oggigiorno da sfuggire come la peste – be’, sai, se vuoi essere invitato ai festival che contano, alle trasmissioni che contano, devi essere un intrattenitore.

Non sto facendo confronti improponibili fra le due serie. Se devo essere sincero, True Detective mi emoziona, Montalbano mi lascia freddo. Ma non sono i miei gusti che contano. Conta il fatto che la Sicilia di Montalbano è un’opera d’ingegno compiuta, un mondo che rende conto solo a se stesso, e quindi congruo dalla prima all’ultima battuta, dal protagonista all’ultimo caratterista – solo lo sculettante dilettantismo di Belen Rodriguez riesce a farlo vacillare paurosamente. Conta che Montalbano sia una serie con un progetto forte, ben focalizzato, condiviso e mai sconfessato nel tempo, con un timbro tutto suo, inconfondibile. E di conseguenza un pubblico tutto suo, molto fedele.

Il punto quindi non sarà mai trasportare True Detective nel Polesine.

Anche in Italia si possono fare cose piene di senso, quando si ha il coraggio di rimettere le idee e la qualità al centro della narrazione.

Non sono gli esperti di marketing che ce lo chiedono, ovviamente.

Sono gli spettatori.