Fabio Volo e lo ius primae editionis

Ieri, durante un laboratorio di scrittura alla Scuola di Narrazione Arturo Bandini, leggevo ai partecipanti questo:

…ci sono frasi oggetto di così tanta concentrazione da diventare parti del mondo anziché tentativi di classificarlo.

Esther Forbes si era completamente calata nelle sue frasi. Le aveva fatte proprie, erano diventate questioni di vita o di morte, se ne era assunta la piena responsabilità. Come ci era riuscita? Le aveva corrette.

131_saunders 172_saunders_dieci_dicembre_x_giornaliLe frasi provengono da Il megafono spento di George Saunders (Minimum Fax, traduzione di Cristiana Mennella) e le ho usate per comunicare ai miei partecipanti quella che mi sembra una buona notizia. Nessuno nasce imparato e, se avete talento, lo scoprirete comunque solo riscrivendo e correggendo. Male che vada, riscrivendo e correggendo farete un salutare lavoro di consapevolezza e pulizia mentale. Magari non diventerete autori di un grande romanzo, ma autori di voi stessi sì. Vi pare poco?

Molti editor che conosco sottoscriverebbero queste frasi come linee guida di valutazione di un testo. Le trovo ideali per far capire (in sintesi) con quali aspettative e con quanta spietatezza viene letto un testo inoltrato a una casa editrice. Bisogna lavorare sodo sulla frase, su ogni frase. Suona ogni nota come se fosse l’ultima, diceva Charlie Parker. O forse Hendrix. Non mi ricordo, ma non importa, il concetto è quello.

Io voglio sempre mettere in guardia chi segue un mio laboratorio: non vi fate ingannare dalle classifiche di vendita. Non cercate di fare colpo su un editore prendendo a modello l’ultimo romanzo di Fabio Volo e scrivendo queste robe (solo alcuni highlights tratti da qui):

Come un monaco tibetano, come un ninja di Milano.

Tirò la maniglia ma il frigo non si apriva, come succede spesso quando lo si è appena chiuso. (???. n.d.a.)

Si rideva per ogni stupida cosa, si respirava una bontà che avrebbe potuto uccidere in meno di un secondo un intero pullman di cinici.

Oggi la promessa, così come gli oggetti, è meno eterna, tutto dev’essere consumato e non conservato, se una cosa non funziona la si butta e se ne prende un’ altra.

Nei vinili il suono [era] diverso. Più caldo e preciso. [i giovani d’oggi] mangiano male, scopano male, si drogano male e ascoltano musica di merda, e anche quella la ascoltano male. Nei loro iPhone. (non è che magari leggano anche libri di merda? n.d.a.)

Se mandate in giro queste iperboli dozzinali o questi borborigmi da Anonima Pensionati Scoglionati, siete destinati a rimanere giustamente inediti. Nessun bravo editor può apprezzare frasi che sembrano emanate dopo un brainstorming in abbiocco post-prandiale o da un software neppure tanto evoluto. E anche il pubblico, ve lo assicuro, le troverà noiose.

Non ci provate. Non dite: così so scrivere anch’io. Grazie tante, così sanno scrivere quasi tutti. Ma voi non siete Fabio Volo e sarete giudicati con (giusto) rigore. Per voi continua a vigere il criterio di qualità del testo. Inutile prendere a modello chi ha ottenuto successo in un qualsiasi (altro) campo dell’intrattenimento. Quelli come Volo hanno di fatto un privilegio, uno ius primae editionis che li esenta anche dai requisiti minimi di decenza per la pubblicazione. Certo, devono vendere bene alla prima prova, appunto, sennò chi se ne frega di pubblicare questa roba. Ma ce l’hanno e lo sfruttano.

Lo spaurito mercato del libro non ha opposto alcun filtro e nemmeno un argine d’orgoglio alle scorribande di qualsiasi cantante, cabarettista o volto televisivo avesse una rivincita da prendersi con la propria insegnante d’italiano (perché il famoso, ovviamente, è sempre stato un ribelle e multiforme genio incompreso).

Di questa corsia riservata, di questa evidente schizofrenia, gli editor seri e scrupolosi non amano certo parlare. Perché questa cosa li fa stare male, così male da renderli ancora più intransigenti nei confronti di tutti quelli che non hanno diritto allo ius primae editionis. E poi perché proseguendo di questo passo saranno solo le vendite di Fabio Volo a pagare i loro compensi, proprio mentre tolgono – ironia della sorte – qualsiasi senso al loro lavoro.

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