In fuga nelle notti più buie d’Europa

Confesso che quando Sellerio mi ha proposto di ripubblicare Rosa elettrica prima ho esultato sotto la curva (tanto, di questi tempi nella Kop di Anfield Road o nel mio studio ci sono esattamente lo stesso numero di persone), poi ho rimandato vigliaccamente la rilettura del testo fino a quando ho potuto.

Perché è passato qualche anno da quando questo romanzo arrivò per la prima volta in libreria. E da quei giorni il tempo si è messo ad andare sempre più veloce.

Avete presente aprire una scatola di vecchie foto (o collegare al pc un hard disk con una delle prime prese usb)? Ti rivedi con la camicia di flanella a quadrettoni o un taglio di capelli assurdo e richiudi tutto con un sorriso di tenerezza e imbarazzo. Ti guardi bene dal farle rivedere a qualcuno di cui vuoi conservare la stima.

Io ho pensato: e se mi succede così? E se il romanzo mi sembra invecchiato? O se, invece, in quelle pagine mi rivedo troppo giovane?

Per quanto la felpa di Bart Simpson fosse censurabile, nelle vecchie foto la gioventù rimane se non altro un valore in sé. Ma nella prosa essere giovani rappresenta un valore in sé? C’è stato un momento in cui l’editoria, per ragioni di marketing, avrebbe promosso libri contenenti “djh+++òd°°dhfs*8///jdncb-sdy262te6&£/“£&nbxVVVVV<vvvvv”, utilizzando l’età come scudo spaziale di fronte a qualsiasi critica: “okay, non ci si capisce niente, però considerate che l’autore lo ha scritto gattonando sulla tastiera” (parentesi polemica: quando uno legge Zerocalcare o Stieg Dagerman non sta lì a pensare “ammazza com’è bravo, per essere giovane”. Se uno è bravo, è bravo. Se uno non è ancora maturo, può pure attendere di superare la trentina per pubblicare. Anche se perde gli anni della massima potenza muscolare non è che deve marcare Mbappè).

Alla fine ho dovuto rileggermi, è chiaro. Ed è andata. Una ripulita, qualche paragrafo snellito, un personaggio secondario meglio definito, un paio di snodi di trama resi più chiari. Ma Rosa elettrica funziona. E avendolo riletto in modo analitico e con il distacco impietoso del tempo mi pare che funzioni per un paio di motivi. Non si dovrebbe mai recensire se stessi, l’ho scritto anche di recente, ma almeno un paio di questioni mi va di sottolinearle.

Primo: Rosa Elettrica è il ritratto di due personaggi, è la storia del loro brevissimo, sconvolgente incontro, del loro viaggio a perdifiato nelle notti più buie d’Europa. Lo stile è quello necessario a raccontare una storia così, e una storia ambientata nell’Italia del 2007. Non è un manifesto di estetica, e neanche una mia presa di posizione ben leggibile solo rispetto al panorama stilistico o editoriale del 2007. Non è, insomma, una camicia di flanella a quadrettoni. È il massimo di trasparenza, è il diaframma minimo per farvi sentire a contatto con Rosa e con Cociss. È la forma che serve a dare sostanza a quella vicenda. L’unica possibile. E qui vengo al secondo punto.

Oggi le protagoniste femminili vanno per la maggiore, anche gli autori maschi più scaltri hanno allestito la loro brava eroina con cui ammiccare al pubblico, in prevalenza femminile, della narrativa. In Italia, al tempo c’erano state la Grazia Nigro di Lucarelli e la Giorgia Cantini della Verasani. 

Ma nel mio caso specifico l’unica forma possibile per scrivere questa storia era il punto di vista di Rosa in prima persona femminile.

Anni fa c’era molta più gente che si sentiva autorizzata a stabilire se che dovesse essere una “voce femminile” credibile, senza neanche porsi il problema di usare, magari in buona fede o per una giusta causa, uno stereotipo di genere. Oggi sono sicuro che lettrici e lettori ameranno o meno Rosa in quanto personaggio, stop.

Qualche anno fa però fu un azzardo, sì. Come quelli che Rosa compie nel romanzo. Perché un’altra cosa che oggi capisco è che il destino di Rosa e quello di questo romanzo alla fine si assomigliano. Ma questa è un’altra storia. Magari un giorno la racconterò.

Incontri 2020, dove e quando

 

Questo a oggi il calendario dei primi mesi del 2020. Il post è in continuo aggiornamento, per cui date un occhio, ogni tanto, se vi va.

Magari ci si vede.

11 gennaio – CASTAGNETO CARDUCCI (LI)

Foyer del Teatro Roma, nell’ambito della rassegna SereNere

23 gennaio, ore 18.30 – PAVIA

Incontro con i lettori alla Libreria Il Delfino. 

24 gennaio, ore 19 – CASTIONETTO DI CHIURRO – (SO)

Aperitivo letterario nell’ambito di LIBeRI in casa mia, a cura di Angelita Pierro.

1 febbraio, ore 16 – CORTONA (AR)

Biblioteca Comunale, nell’ambito di “Incontri tra le righe”.

21 febbraio, ore 17,30 – LUCCA

Complesso di San Micheletto, nell’ambito di Scrittori in Città. Incontro a cura di Laura Di Simo e Alessandra Giuntoli

27 febbraio, ore 18,30 – GINEVRA

Per il ciclo “Il poliziesco italiano, dal giallo al noir” presso la Società Dante Alighieri, a cura di Marina Gasperini.

29 febbraio, ore 17 – PRATO

Incontro con i lettori alla Biblioteca Lazzerini. A cura della Libreria Gori. Intervista di Riccardo Parigi.

5 marzo, ore 18,30 – PINO TORINESE  (TO)

Associazione “Di tutti i colori”, ciclo PiNoir, intervista di Enrico Pandiani

6 marzo, IVREA

Mondadori Bookstore – (dettagli a breve)

11 marzo,  SIENA

Libreria Senese – (dettagli a breve)

12 marzo SAN QUIRICO D’ORCIA (SI)

Libreria Val d’O. – (dettagli a breve)

14 marzo, ore 18 – BUSTO ARSIZIO (VA)

Presentazione alla libreria di Gorla Maggiore. 

20 marzo, ore 18 – PIOMBINO (LI) 

Incontro alla Libreria Coop organizzato dal gruppo di lettura Assaggialibri.

21 marzo, ore 18 – CENTO (FE) 

Sala Zarri in piazza del Guercino, a cura della Libreria Albatros.

22 marzo, ore 17 – SAN GIOVANNI IN MARIGNANO (RN)

Per la rassegna Itinerari letterari.

31 marzo, ore 17,30 –  BARI

Incontro alla Libreria Laterza, organizzato da Le Donne in Corriera, con Gabriele Protomastro.

1 aprile – TARANTO 

Libreria Dickens – Il granaio

2 aprile – SANTERAMO (BA)

(dettagli a breve)

3 aprile – BARLETTA (BT)

(dettagli a breve)

4 aprile – CORATO (BA)

(dettagli a breve)

5 aprile – FOGGIA

Libreria Ubik 

8 maggio – CITTÀ DELLA PIEVE (PG)

(dettagli a breve)

9 Maggio – CASTIGLIONE DEL LAGO (PG)

Libreria Libri Parlanti

10 Maggio – FOIANO DELLA CHIANA (AR) 

Biblioteca Comunale

23 maggio – ROMA

Libreria Risvolti 

Cosa dico io de “I giorni del giudizio”

Parlare del proprio lavoro è sempre difficile, quando non è un controsenso. Quali parole posso aggiungere alle più di centomila che ho scelto e messo una dietro l’altra, con pazienza, in mesi di lavoro?

Capita però che ti chiedano di raccontare qualcosa del tuo romanzo in pochi minuti, come in una specie di trailer.

È successo nella sede del Messaggero, a Roma, in questa intervista a cura di Riccardo De Palo.

https://www.ilmessaggero.it/video/intervista_giampaolo_simi-4857903.html

E poi anche al Pisa Book Festival, grazie a “La Repubblica”:

https://video.repubblica.it/edizione/firenze/pisa-book-festival-simi-racconta-i-giorni-del-giudizio/347695/348281

La prima dura dieci minuti, la seconda due. Insomma, potete scegliere in base a quante fermate mancano alla vostra.

Abbracci.

 

Cosa dicono (e scrivono) de “I giorni del giudizio”

“Notevole invenzione narrativa, grande abilità nella sceneggiatura: I giorni del giudizio di Giampaolo Simi (Sellerio), è uno di quei romanzi ai quali si torna volentieri.”

Corrado Augias, Il Venerdì di Repubblica (ingrandire l’immagine qua sotto per l’articolo completo)

“…l’incontrarsi di otto vite tanto diverse l’una dall’altra, quelle dei due giudici togati e dei sei giudici popolari in un’aula di Tribunale di Lucca, diventa una straordinaria occasione per tracciare un affresco dell’Italia di oggi (‘che razza di paese isterico siamo diventati’).”

Donatella Tretjak, Il Piccolo (ingrandire l’immagine qua sotto per l’articolo completo)

“In tutto questo, uomini e donne chiamati a decidere le sorti dell’imputato si metteranno via via a nudo, la verità, le verità di ognuno, verranno a galla.”

Marta Elena Casanova sul Blog di TgCom 24, qui la recensione completa.

“Non solo tensione, indagine, delitto dunque, ma anche giustizia, processo, ricerca della verità in questo corposo thriller corale.”

Simone della Roggia su Thrillercafe, qui la recensione completa

“…dai vicoli di Lucca all’atmosfera esilarante e surreale di Lucca Comics, dai bagliori di fine estate a  Halloween  presso il Ponte del Diavolo. Il territorio dialoga continuamente con gli stati d’animo…”

Erika Pucci, dalle pagine di Versilia Today

“Un romanzo sinuoso e crudo, avvolgente e in certi passaggi disturbante, perché troppo simile alle nostre debolezze, troppo sfacciato nello sbattercele in faccia.”

Sabrina De Bastiani su ThrillerNord, qui la recensione completa

“Un noir corale che rappresenta una sfida; prendere per le corna il genere e ribaltarlo, mescolarlo, dare al romanzo letterarietà, nuova linfa e soprattutto una vitalità derivata dai personaggi che ne sono protagonisti.”

Così Mauro Molinaroli su Milano Nera, dove trovate la recensione completa.

Qui la puntata di Fahrenheit di Radio3 del 16 ottobre in cui “I giorni del giudizio” è stato il libro del giorno. Intervista a cura di Loredana Lipperini.

Qui invece l’intervista a cura di Claudio Vecoli apparsa sulle pagine de “Il Tirreno”.

I Giorni Del Giudizio, le date degli incontri

“Il caso li ha messi insieme. Un sorteggio li ha chiamati a fare i giudici popolari in un processo di Corte d’Assise. Iris, bibliotecaria femminista, Terenzio, un pensionato arrabbiato, Emma, ex miss proprietaria di una boutique a Viareggio, Ahmed, un giovane magazziniere di origine marocchina, Serena, una precaria con poca fortuna, Malcolm, esperto di videogames e youtuber di enorme successo. Il delitto, di enorme clamore, è di quelli che generano discussioni infinite.”

 

Ecco le date dei primi incontri nei giorni che ci separano dalla fine del 2019. Altri aggiornamenti a breve.

27 settembre, ore 18,30 – VIAREGGIO 

Libreria Caffè Lettera 22, intervista di Francesco Trento

 

28 settembre ore 21 – ORTE (VT)

Libreria Gorilla&Alligatore, per il Festival Sentieri Bui. Intervista di Giuseppe Gamberini

 

3 ottobre, ore 18 – LA SPEZIA

Nell’ambito di Libriamoci, incontro con i lettori presso la Biblioteca Beghi. Intervista a cura di Gabriella Tartarini

 

4 ottobre, ore 18.30 – PIETRASANTA

Sala dell’Annunziata, a cura della Libreria Nina. Intervista di Andrea Geloni

 

5 ottobre, ore 18.30 – PISA

Gipsoteca di Arte Antica, intervista di Leonardo Vannucci. A cura della Libreria Ghibellina

 

12 ottobre, ore 18 – MARINA DI CARRARA

Incontro con i lettori alla Libreria Nuova Avventura

 

20 ottobre, ore 16 – GENOVA

Per Bookpride a Palazzo Ducale, “50 anni in blu” assieme a Alessandro Robecchi, Marco Malvaldi, Fabio Stassi

 

20 ottobre, ore 18 – GENOVA 

Per Book Pride a Palazzo Ducale, intervista di Alberto Riva

 

25 ottobre, ore 21 – TERNI

Biblioteca Comunale, nell’ambito di UmbriaLibri, assieme a Francesco Recami

 

26 ottobre, ore 18 – ROMA

Press la Scuola di scrittura Omero, incontro su “Come non perdere mai la voglia e la gioia di scrivere. Seguendo l’esempio di autori come Flannery O’ Connor, George Saunders, David Mamet, Georges Simenon e altri”.

 

1 novembre, ore 17 – RAVENNA

Per la rassegna GialloLuna NeroNotte, incontro con i lettori alla Biblioteca Oriani

 

2 novembre, ore 18 – CESENA

Incontro con i lettori alla Libreria Ubik

 

8 novembre, ore 21 – EMPOLI

Incontro con i lettori alla Libreria Rinascita

 

9 novembre, ore 16.30 – PISA

Per Pisa Book Festival, incontro con i lettori a Repubblica Caffè, a cura di Fabio Galati e Gianluca Monastra.

 

16 novembre, ore 18 – PONTEDERA (PI)

Incontro con i lettori alla Libreria Ubik.

 

17 novembre, ore 12 – FIRENZE

Incontro con i lettori alla Libreria TodoModo.

 

21 novembre, ore 18 – PIACENZA

Incontro presso la Galleria Biffi Arte, a cura di Mauro Molinaroli

 

22 novembre, ore 21 – VIGEVANO

Incontro con i lettori alla libreria Le Notti Bianche

 

23 novembre, ore 19 – LECCO

Incontro con i lettori alla Libreria Volante

 

24 novembre, ore 17 – VIMERCATE

Incontro con i lettori alla libreria Il Gabbiano

 

5 dicembre, ore 18 – VIAREGGIO

Incontro con i lettori alla Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea. Interviene il sindaco di Viareggio Giorgio Del Ghingaro.

7 dicembre, ore 13.30 – ROMA

PiùLibriPiùLiberi, Sala Luna. Incontro sulle antologie 50in blu assieme a Giosuè Calaciura, Giorgio Fontana, Marco Malvaldi, Antonio Manzini, Francesco Recami, Gaetano Savatteri.

 

8 dicembre, ore 12 – ROMA

PiùLibriPiùLiberi, Sala Sirio. Incontro su “I giorni del giudizio”. Interviene Flavia Perina.

 

12 dicembre, ore 12 – LIVORNO

Alla Sala delle Conferenze della Circoscrizione 2, incontro su “Polizia e indagini fra realtà e finzione” a cura del Sap. Intervista di Marco De Franchi.

 

Aspettando il 26 settembre

È stata un’estate diversa dalle altre. Dopo due anni in cui mi sono presentato in libreria nel mese di giugno, stavolta ho passato luglio e agosto a lavorare e limare il nuovo romanzo, in uscita il 26 settembre. Si intitola I giorni del giudizio, e questa è la copertina.

Del resto l’onda lunga del grande riscontro avuto da Come una famiglia si è protratta fino al 21 luglio, con la finale del Premio Bancarella, e toccherà definitivamente la spiaggia fra pochi giorni, dall’altra parte del mare. Sarò in Sardegna, per il Festival Florinas in Giallo. Nel mezzo, la finale del Premio Rieti assieme a Nadia Terranova, Sacha Naspini, Margherita Loy, Dario Pontuale.

Un’estate senza un tour frenetico di presentazioni, in cui ho provato l’antica e dimenticata esperienza di trascorrere le vacanze nella mia città. Sarà per questo che, alla fine, ne ho scritto in tre occasioni diverse. Raccontando di un albergo, di un negozio di dischi, di un grande evento che ha caratterizzato questi mesi.

Qua sotto trovate i link.

Questa casa è un albergo

Non era proprio il negozio di dischi di Nick Hornby, ma era uno di questi posti che ti facevano sentire di non vivere in provincia. Qui lo racconto per Repubblica Firenze.

Lorenzo Jovanotti non incarna il mio ideale di showman, ma il suo tour sulle spiagge che ha toccato Viareggio ben due volte merita qualche riflessione al volo. Su Il Tirreno.

 

A prestissimo, allora.

Italia, 1969-2019

Esattamente sei mesi fa mi è stato chiesto di scrivere sull’assassinio del giovanissimo Ermanno Lavorini, a cinquanta anni da un delitto che sconvolse l’Italia e dal linciaggio mediatico che distrusse vite, reputazioni e carriere di persone innocenti. Ben prima di qualsiasi verità processuale, in quei freddi giorni d’inverno la stampa conservatrice, l’estrema destra cattolica e i neofascisti elessero un’intera città governata dalla sinistra a simbolo di qualsiasi male, al grido di “non si toccano i ragazzini”.

Erano altri i committenti e non esistevano i social. Ma gli obiettivi erano tutti e solo politici, e non erano tanto dissimili da quelli che la destra italiana persegue oggi:  far uscire l’Italia dal novero delle democrazie liberali occidentali per rinchiuderla di nuovo nel gorgo di un regime dittatoriale, isolazionista e patriarcale.

La propaganda per slogan elementari e ossessivi, il rifiuto di qualsiasi ragionamento e la violenza discriminatoria verso “la sinistra” e qualsiasi diversità sono esattamente gli stessi.

Ma chi aveva ucciso Ermanno Lavorini? Lo trovate scritto alla fine dell’articolo.

Quel laboratorio di fake news sulla spiaggia di Viareggio

Il 2 febbraio del 1969 sfila sul lungomare di Viareggio un carro di Carnevale con grandi figure minacciose, simili ai puritani che nella Lettera Scarlatta di Nathaniel Hawthorne marchiano con la A le donne accusate di adulterio. Il titolo è ” Caccia alle streghe” e quegli inquisitori sono le forze oscure della reazione che si oppongono al progresso. Non ricorderemmo quella costruzione fra le migliori di Silvano Avanzini, uno dei più importanti maestri che il Carnevale abbia avuto, se non raffigurasse perfettamente la tempesta che stava per abbattersi su Viareggio. Se consideriamo che un artista del Carnevale progetta la sua opera quasi un anno prima, quelle figure tetre sono una coincidenza profetica del tutto romanzesca.

Soltanto quarantotto ore prima, appena dopo pranzo, un ragazzo di tredici anni è uscito di casa sulla sua bicicletta rossa. Si chiama Ermanno Lavorini ed è figlio di un commerciante piuttosto noto, ma non certo da annoverare fra i benestanti della città. Da quel momento nessuno lo ha più visto. Nel pomeriggio la famiglia ha ricevuto una telefonata lapidaria destinata a imprimersi nella memoria collettiva, anche perché rimarrà l’unica comunicazione dei rapitori: « Ermanno non torna a casa per cena. Preparate quindici milioni e non chiamate la polizia » .

Quella del 1969 non è ancora l’Italia dei sequestri di persona quasi quotidiani e la risposta degli inquirenti è sulle prime inadeguata. Fa sorridere che si invitino pubblicamente i cittadini a segnalare se qualcuno acquista più cibo del solito, dato che l’ostaggio dovrà pure mangiare, no? Insomma, la polizia ti faceva irruzione in casa nel cuore della notte e poi ti chiedeva spiegazioni su due etti di mortadella.

In questa storia però non c’è nessun ostaggio, perché Ermanno Lavorini è stato ucciso quel pomeriggio stesso. Lo si capirà solo quaranta giorni dopo, quando da Viareggio sono già transitati medium, geni dell’investigazione, sensitivi e ciarlatani in cerca di pubblicità. Il suo corpo sepolto sotto uno strato di sabbia viene rinvenuto sulla spiaggia di Vecchiano, a sud di Viareggio. È a quel punto che la caccia alle streghe ha inizio, perché è il momento in cui entra in scena ciò che oggi definiamo la pancia del Paese. La pancia, definizione che riunisce grossolanamente stomaco e intestino, è la parte del nostro organismo perennemente schiava della paura. E nell’Italia del 1969 molta gente ha paura. Ha paura che il boom economico sia agli sgoccioli, ed è una percezione oggettiva.

Contemporaneamente osserva emergere fenomeni nuovi che non sa interpretare: giovani che contestano l’autorità, inneggiano alla pace e usano droghe, donne che vogliono emanciparsi e rivendicano più libertà, anche sessuale. La pancia non sa attendere i tempi di un’analisi, procede dritto per dritto: prima le cose andavano bene e non c’erano hippy, femministe, contestatori, la gente non divorziava e di droghe non si sentiva parlare. Se ora le cose vanno male, la colpa non può essere che di tutti costoro e delle novità assurde che propugnano. Non è un ragionamento, è una reazione irriflessa, quasi uno spasmo, e come tale del tutto impermeabile alle obiezioni della logica.

È in questo scenario che l’omicidio di un ragazzino trasforma Viareggio nella Sodoma e Gomorra d’Italia e Lavorini nella vittima di giochi sessuali proibiti.

Viareggio è una città famosa, a cui il turismo di massa non ha tolto un’aura chic. Ma Viareggio è anche radical, perché accanto alla tradizione operaia dei maestri d’ascia e dei calafati, alle darsene raccontate da Viani, Micheli e Tobino, c’è la radice laica e libertaria degli anarchici, dei massoni, dei socialisti, di coloro cioè che alla fine dell’ 800 hanno ottenuto che si intitolasse una piazza a Percy Bisshe Shelley, poeta inglese ateo, fuggito dall’Inghilterra con amante minorenne al seguito. E soprattutto, Viareggio ha una giunta di sinistra.

Il caso Lavorini soddisfa una domanda che tutta Italia si deve essere fatta almeno una volta: ma cosa faranno a Viareggio, tutto l’inverno, quando bagni e alberghi sono chiusi? La risposta è: sesso a pagamento con ragazzini e orge con uso e abuso di droghe. Le pinete deserte e i villini liberty, lontani dai riflettori dell’estate, sono uno scenario congruo, narrativamente perfetto.

Perché di questo stiamo parlando: di narrazione. E precisamente di un’enorme bugia narrata come verità indiscutibile. O, se preferite, di una fake news che si impone in virtù di uno storytelling elementare.

Il “Secolo d’Italia”, organo del Movimento Sociale Italiano, si immette nella più limpida traduzione giuridica del «prima impicchiamolo, poi facciamo il processo»: «Strappiamo la maschera agli infami corruttori della gioventù. I responsabili della morte di Ermanno Lavorini appartengono alla banda socialcomunista che governa la città». Ma nemmeno “L’Espresso”, “Il Borghese” o “Epoca” si tirano indietro di fronte alla schedatura e al linciaggio di “pederasti” e “invertiti”, alla disperazione che porta due innocenti alla morte, alla distruzione di carriere politiche. La caccia alle streghe, si sa, non nasce per essere uno strumento raffinato.

A nessuno in quel momento interessava che Ermanno Lavorini fosse estraneo a qualsiasi giro di prostituzione e che dall’autopsia non risultassero segni di violenze – ma nemmeno di rapporti – sessuali.

Neanche alla sinistra extraparlamentare o al Pci, che decisero di non spendersi in difesa di chi coltivava in modo clandestino e con dei minorenni inclinazioni giudicate comunque contronatura. Peccato che così facendo lasciarono campo libero alla prova generale di quello che sarebbe diventato il triste canovaccio della strategia della tensione: disinformazione tambureggiante, demonizzazione di falsi colpevoli, depistaggi e connivenze con la destra golpista.

Otto anni dopo, nel 1977, quando la notte della Repubblica era profonda, non interessò più a nessuno che per il rapimento e l’omicidio di Ermanno Lavorini venissero definitivamente condannati tre giovani esponenti del Fronte Monarchico Viareggino. A questa formazione politica, ospitata in un garage di periferia e svanita nel nulla, con i suoi archivi, poco dopo la scomparsa del ragazzo, dovevano infatti finire i soldi del riscatto.

Ma a pochi interessa la verità, quando c’è un racconto semplice che ci risparmia la fatica di capire. Sono passati cinquant’anni dal Carnevale più triste e surreale che Viareggio abbia vissuto, ma quella lezione, forse, non l’abbiamo mai davvero imparata.

 

Pubblicato su “La Repubblica” del 31 gennaio 2019

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I prossimi appuntamenti

Una finale del Premio Bancarella.

 

Dal Premio Rieti alla Puglia, dalla Festa del Racconto di Carpi alle serate del Premio Bancarella. Ecco dove sarò nelle prossime settimane.

24 maggio, ore 17 – RIETI

Incontro nell’ambito del Premio Letterario Rieti presso la Biblioteca Paroniana.

 

30 maggio, ore 9,30 – RAVENNA

Presentazione dei finalisti Premi Selezione Bancarella al Palazzo dei Congressi di Ravenna

 

31 maggio, ore 17,30 – VIAREGGIO

“Il rosso e il noir”, un excursus fra le letture che mi legavano a Milziade. Incontro a Villa Argentina per i venerdì della Fondazione Caprili.

 

2 giugno, ore 19 – CARPI (MO)

Al Chiostro San Rocco (in caso di pioggia auditorium Loria), incontro su Come ammazzare il tempo assieme a Margherita Oggero. Conduce Chiara Moscardelli.

 

10 giugno, ore 21,00 – SESTO SAN GIOVANNI (MI)

Presentazione dei finalisti Premi Selezione Bancarella alla Biblioteca Civica presso la Villa Visconti d’ Aragona.

 

12 giugno, ore 18,00 – LIVORNO

Incontro con i lettori a Villa Fabbricotti nell’ambito della rassegna LeggerMente. Intervista di Carlo Neri.

 

14 giugno, ore 16 – CESENA

Consegna Premio Seleziona Bancarella presso la biblioteca Malatestiana

 

4 luglio, ore 18 – BARI

Incontro alla Libreria Laterza a cura dell’Associazione Donne in Corriera. Con Gabriele Protomastro.

5 luglio, MODUGNO

(Dettagli a breve)

6 luglio, ore 18.30 – MARTINA FRANCA (TA)

Presentazione presso il Chiostro Agostiniane del Villaggio Sant’Agostino assieme a Cinzia Cofano.
Reading di Mauro Di Michele.

 

21 luglio, ore 21  – PONTREMOLI

Premiazione del libro vincitore  del 67° Premio Bancarella. Assieme agli altri finalisti Alessia Gazzola, Tony Laudadio, Elisabetta Cametti, Marco Scardigli, Marino Magliani.

 

30 luglio, ore 18 – LOANO

Incontro con i lettori per la rassegna “I martedì della Cultura” nel ridotto dell’Area Estiva Giardino del Principe, Palazzo Doria.

 

20 agosto, ore 19.15 – SENIGALLIA

Incontro con i lettori nell’ambito di Ventimilaleghesottimari… in giallo.

Con parole mie

“Si diventa grandi quando, di fronte alla fine di una relazione, si continua a soffrire ma si accetta la scelta dell’altro e si accetta quell’irreversibilità della fine che è, in fondo, accettazione del ciclo di vita e morte.”

Tre anni fa, all’Università di Cork, ho fatto una bellissima chiacchierata con Nicoletta Mandolini del Dipartimento di Italianistica. Saranno state le sue domande, sarà stata l’aria d’Irlanda (vedi foto esplicativa), ma rileggendola ora mi pare di aver detto una certa quantità di cose interessanti sul dietro le quinte dei miei romanzi. La potete leggere nella sua versione integrale qui.

Sempre il Dipartimento di Italianistica dell’University College Cork, ha  recentemente pubblicato questa raccolta di saggi, in cui si parla anche di come noi scrittori rappresentiamo la violenza di genere. E dato che, come ricorda Stephen King, raccontare un mostro e dargli tutti i nomi è il primo passo per sconfiggerlo, è argomento su cui vale la pena riflettere.

Molto più recentemente, Enrico Caroti Ghelli  mi ha intervistato per il sito della Writers’ Guild Italia, di cui sono socio. Qua si parla, of course, molto più di “Nero a metà ” e di serie tv, di cinema e del lavoro degli sceneggiatori.

“La commedia italiana aveva buon gioconel dissacrare il potere, i vincenti o i furbi di ogni strato sociale perché quei potenti, quei vincenti, quei furbi tenevano a dare di sé un’immagine rispettabile, onesta e positiva. Quindi erano vulnerabili nella loro ipocrisia. Oggi no, non solo il re è nudo, ma è decisamente sovrappeso e non ci chiede neppure di far finta che abbia il fisico di un bronzo di Riace.”

La trovate a questo link.

 

In nome del pop sovrano

Fa sorridere l’impeto patriottico della mail in cui il presidente della SIAE Giulio Rapetti, in arte Mogol, invita a sostenere una legge che riservi alla musica italiana almeno il 33% della programmazione radiofonica.

Fa sorridere quando parla di “artisti e autori nostrani”, utilizzando un aggettivo che più si addice a polli e carciofi. Da uno che di mestiere fa il paroliere, era lecito aspettarsi di meglio.

Fa sorridere perché interviene con grande tempismo sulla diffusione della musica tramite apparecchiature radiofoniche quando da anni la vera partita fra chi emerge e chi no viene decisa da una cosa chiamata internet – non so se ne avete sentito già parlare. Le radio, in definitiva, registrano e amplificano quello che viene scaricato o scelto in playlist dal numero maggiore di utenti. Non a caso nella mail si richiama una legge francese del 1994, epoca in cui (al di là del giudizio di merito) un provvedimento del genere un qualche effetto reale l’avrebbe avuto. In quegli anni la Francia fece lo stesso anche per il cinema e la tv, creando le premesse per conservare una solida industria nazionale dall’invasione incontrollata delle produzioni d’oltreoceano. Non so se il modello protezionistico a lungo termine abbia funzionato anche in termini di qualità. Non mi pare che in epoca di serie tv globali siano molte le proposte francesi che si fanno notare oltre i propri confini. Scandinavi, spagnoli, tedeschi e israeliani, per dire, stanno facendo decisamente meglio. Noi comunque siamo stati gli unici folli a esagerare in senso opposto: anni prima la Democrazia Cristiana aveva assestato un colpo ferale al cinema italiano (e cioè il cinema da cui tutti hanno imparato a fare cinema nella seconda metà del ‘900) con un accordo che imponeva di importare quote fisse di produzioni statunitensi, senza alcun accordo di reciprocità. È come se nella patria del Brunello e del Barbera si fossero obbligati gli italiani a trangugiarsi una lattina di Coca Cola ogni bicchiere di vino. Quanto alla tv, nel 1994 un tale si era già preso da anni tutta l’emittenza privata e stava per diventare lui quello che fa le leggi. Fine dell’excursus.

La proposta fa sorridere perché nel gioco della percentuale flat imporrebbe una riserva protetta di musica italiana anche a radio, come quelle rock, per esempio, in cui il peso delle produzioni italiane è giocoforza minoritario. Perché poi dimentica che, non da ieri, la “musica italiana” di Pausini, Jovanotti o Bocelli può essere (forse) finanziata da un produttore italiano, ma registrata o post-prodotta a Londra o New York, oppure registrata in Italia ma da (e con) musicisti stranieri. In quel caso, come ci si regola? 

Singolare poi come non si faccia alcun accenno all’uso della lingua italiana. Se da domani tutti gli autori italiani si mettessero a scrivere in inglese o nei vari dialetti, per i sovranisti non sussisterebbe quindi problema alcuno. Prima gli italiani, ma non l’italiano, con cui del resto numerosi esponenti di questo governo ingaggiano ogni giorno della battaglie impari. Eppure, è notizia di questi giorni, la lingua italiana è la quarta più studiata al mondo, subito dopo quelle parlate da alcuni miliardi di persone (cinese, americano, spagnolo). Mentre si pretende di legiferare sulla musica, si dimentica insomma proprio quella che potrebbe essere la caratteristica principale di questa (per me fantomatica) italianità: il suono della nostra lingua, quella del bel canto. Di nuovo, da uno che ha usato l’italiano per scrivere grandi successi, ti saresti aspettato qualcosa di meglio.

Non appena dalle questioni di vil pecunia (chi paga chi, e dove) si va a quelle artistiche, le contraddizioni si moltiplicano ancora, la confusione di chi cerca ogni giorno un diversivo alla crisi italiana è evidente. Sembra di vedere degli umarell eccentrici piazzati sullo stretto di Gibilterra a discutere su quale sia l’acqua del Mediterraneo e quale quella dell’Atlantico. Quanto c’è della tradizione italiana in Fred Buscaglione, Renato Carosone, Adriano Celentano, Paolo Conte, Pino Daniele, Zucchero? Oggi potremmo dire che sono loro la tradizione, ma quando sono usciti suonavano tutt’altro che “italiani”. Fecero inorridire più d’un purista. Così come suonano stranieri alle orecchie dei promotori di questa assurdità gli italianissimi Ghali e Mahmood che importano sonorità e stilemi dai ghetti delle metropoli americane. Siamo insomma in un campo in cui un criterio quantitativo non esiste, anzi, soltanto introdurlo nel discorso significa non averci capito nulla. Dire musica è come dire aria e vento, era così anche prima dello streaming e non puoi fermare i venti con i decreti e le motovedette.

Non c’è poi una parola sulla qualità di questa fantomatica musica “opera di artisti italiani e prodotta in Italia”.  Non c’è un’idea di diffusione dell’educazione musicale, di spazi e di opportunità per l’affinarsi dell’orecchio (e di conseguenza del cervello). Non c’è una definizione di identità (parola tanto cara ai sovranisti), perché manca a monte una riflessione sul come mai la musica leggera italiana (e intendo quella che proviene più direttamente dalla grande tradizione melodica dei Modugno e dei Battisti) sia oggi così pesante, asfittica, verbosa e autoreferenziale. Manca solo che la chiudiamo in una bella riserva protetta e direi che la via verso l’estinzione è tutta in discesa. L’idea che per decreto le radio ci propinino qualche ora in più le meteore lanciate da qualche talent show è come voler difendere la cultura enologica italiana imponendo ai supermercati di tenere una certa quantità di vino, e non importa se è quello economico nel tetrapak. Ma di cosa stiamo parlando?

Un’ultima notazione polemica. Anzi, rancorosa. Le idee più o meno improvvisate su come salvaguardare l’italianità nell’audiovisivo o in ambito musicale mi interessano molto poco, specie se sono fatte a prescindere da un discorso di miglioramento della qualità, specie se poi arrivano da un governo il cui capo di fatto mette alla gogna gli scrittori definendoli “intellettualoni”.  E mi interessano poco anche perché l’italiano è la quarta lingua più studiata nel mondo, ma chi utilizza questa lingua per narrare non usufruisce di nessun aiuto, non merita mai nessuna attenzione, deve sopravvivere con le proprie forze e confrontarsi con Paesi che dispiegano mezzi imponenti per promuovere le proprie narrazioni verso l’estero. L’Italia invece batte in ritirata e si chiude al proprio interno, dentro tristi recinti pieni di buchi. Ma va bene così, non scambierei mai “a walk on part on a war for a lead role in a cage”, e chiedo scusa ai sovranisti se non mi è venuta una citazione da Al Bano e Romina.